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Contro la mafia, si può..

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Post by Shelby Sun 27 Apr 2008, 16:20

Contro la mafia, si può lottare, magari non riescono a farlo tutti, sicuramente è devastante e c'è il rischio di perdere tutto, ma si può, almeno così sta facendo un signore: Pino Masciari.

Non lo conosco, ma oggi su Arcoiris stavo guardando il concerto per la pace che si è tenuto a Bari ed il cantante di un gruppo di Torino, il quale gruppo costituisce uno dei presidi di Libera, ha esortato ad andare a vedere il sito di questo signore, così ho fatto.

Vi rendo partecipi.



Pino Masciari

Chi sono

Sono un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959, sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, unitamente a mia moglie Salerno Marisa(medico odontoiatra) e due bambini, perché ho denunciato la criminalità organizzata “ ’ndrangheta ” e le sue collusioni .

La criminalità organizzata, insieme a personaggi di spicco del mondo politico ed istituzionale, ha distrutto le mie floride imprese di costruzioni edili. Come? Bloccandone le attività, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operavo. Tutto ciò dal giorno in cui ho detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.

Le mie imprese occupavano mediamente qualche centinaio di persone, cui va aggiunta l’occupazione di ditte specializzate in vari settori (idraulico, impiantistico,di pavimentazione, lavorazione intonaci, ecc.) e svolgevano attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato.

Una delle due, nello specifico la “ Masciari Costruzioni ” operava con gli appalti pubblici: dunque era orientata alla costruzione di: Case Popolari, Impianti Sportivi, Scuole, Strade, Restauri di Centri Storici, ecc. Lavoravo bene, avevo anche dieci cantieri aperti contemporaneamente . Nel contempo, l’altra impresa societaria lasciatami da mio padre, in cui avevo l’incarico di amministratore, costruiva Abitazioni Civili destinati alla vendita e realizzava lavori privati per conto terzi.

Inizialmente mio padre e poi successivamente io, riferivamo alle Forze dell’Ordine le pressioni di natura estorsiva che la ‘ndrangheta esercitava sulle nostre imprese e del pericolo cui eravamo esposti.

Le risposte erano sempre le stesse: “ stia attento prima di denunciare, si rischia la vita, non si esponga troppo”.

Nel 1988, il mese di febbraio, venne a mancare mio padre. Mi trovai completamente solo, con una famiglia numerosissima di nove fratelli e per poter continuare a lavorare dovetti cedere alle richieste estorsive: il SEI per cento ai politici, il TRE per cento ai mafiosi. Ed i soprusi che dovetti sopportare, le angherie, le assunzioni pilotate, le forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso, regali di appartamenti, l’acquisto di autovetture, e persino la costruzione di cappelle cimiteriali ecc….

A questo si aggiunge che la soggezione al potere mafioso era imposto soprattutto dall’atmosfera di invivibilità che si era creata in quegli anni su tutta la Calabria ed in particolare nel mio territorio, dove, per supremazia di interesse da parte delle famiglie malavitose, scoppiò la cosiddetta “ FAIDA DEI BOSCHI “, che apportò decine di morti e diffuse il terrore nei cittadini onesti ed in particolar modo in chi esercitava un’attività imprenditoriale, vittime di atti intimidatori e di taglieggiamenti.

Ma il senso di ribellione alla prepotenza e all’ arroganza che subivo era presente in me, solo che non avevo alternative e la responsabilità che sentivo verso la mia famiglia, verso i miei dipendenti, verso me stesso, era enorme.

Dal 1990, decisi di non sottostare alle pretese estorsive dei politici che consisteva nell’elargizione di denaro e di lavori gratuiti, di conseguenza non si fecero attendere le prime ripercussioni sulla mia azienda. Gli stati d’avanzamento lavori mi venivano pagati con notevole ritardo che arrivava a superare anche l’anno e addirittura non mi venivano considerati i lavori eseguiti che dunque non erano nè contabilizzati nè pagati. Cercavo di resistere a queste forme di ostruzionismo con molta difficoltà e le banche, dal loro canto, facevano la loro parte aggravando l’azione d’intralcio.

Dal 1992 con durezza e determinazione decido di non elargire più somme di denaro alla ‘ndrangheta.

Incominciava così la disfatta totale delle mie imprese: fioccarono i danni dolosi come furti, incendi, danneggiamenti dei mezzi di lavoro e di attrezzatura sui cantieri, per passare poi alle esplosioni d’arma da fuoco ( LUPARA ), alle minacce personali, alle telefonate minatorie che mettevano in subbuglio la vita quotidiana di una intera famiglia.

Nel 1993, mese di Aprile, giorno di pasquetta uno dei miei fratelli fu avvicinato da sconosciuti e sparato alle gambe . Se la cavò. Fui fermato da malavitosi che mi costrinsero a non costituirmi parte civile. E così dovetti fare.

Le banche subdolamente mi consigliavano di rivolgermi agli usurai per ottenere quella liquidità che mi era venuta meno dai mancati pagamenti dei lavori già realizzati e per i quali io avevo investito le mie risorse.

Un circolo vizioso dunque!

Nel settembre 1994, con grande amarezza, decisi di licenziare tutti gli operai della mia impresa pur avendo diversi cantieri in opera, lavori in fase di ultimazione, nuovi appalti aggiudicati e altri di cui stavo per stipulare i contratti, appalti che comprendevano lavori anche in Germania a cui dovetti rinunciare, il tutto per un importo di circa 25 miliardi di lire .

Fu nel mese di novembre dello stesso anno e precisamente giorno 22 (compleanno di mia moglie) che incontrai il maresciallo LO PREIATO NAZARENO, comandante allora della stazione dei Carabinieri di Serra San Bruno, mia località di residenza e, sapendo del suo sentito impegno, incominciai ad avere fiducia, raccontando in linee generali le mie vicende e quanto mi stava succedendo; fiducia che mi era venuta meno dal comportamento che dopotutto si preoccupavano per me ma nello stesso tempo esprimevanoanimo di rassegnazione non confacente al ruolo che rivestivanodelle persone che lo avevano preceduto, i quali erano da me informati circa le mie vicissitudini.

Ma le ripercussioni non furono limitati ai fatti sopra descritti. Nell’ ottobre del 1996 mi fu notificata la sentenza di fallimento di una delle mie imprese della quale ero titolare, la “MASCIARI COSTRUZIONI di Masciari Giuseppe “ ditta individuale. Dunque la mia ribellione era ulteriormente punita: inverosimilmente il fallimento era decretato per un importo di lire 134.000.000, avverso l’azienda che vantava crediti, possedeva immobili e numerose attrezzature edili.

Ma non è tutto.

Il fallimento è stato dichiarato dal giudice Patrizia Pasquin, giudice presidente della sezione fallimentare di Tribunale di Vibo Valentia.

A distanza di anni, l’ 11 novembre 2006 veniva data notizia in tutte le testate giornalistiche a mezzo stampa eTv la seguente notizia: “arrestato il giudice Patrizia Pasquin” . Si riscontra sul sito internet “ la REPUBBLICA. It - CRONACA : Riceveva dalla mafia una stabile remunerazione”; Vibo, interrogato il giudice Pasquin ; Mastella: “Seguivo il caso da tempo”.

Le mie denuncie sono state consacrate presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.

I giudici della Distrettuale Antimafia che accosero le mie denuncie, valutarono la vastità dei miei racconti e dei personaggi accusati, personaggi del mondo politico, amministrativo e mafioso, ma soprattutto, considerato il grave ed imminente pericolo di vita cui ero esposto io e la mia famiglia quale conseguenza delle mie denuncie, mi prospettarono l’assoluta necessità di allontanarmi con la mia famiglia dalla mia Regione e di entrare quindi sotto tutela del Servizio Centrale di Protezione, lasciando così in tronco la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, il mio ruolo sociale e di riflesso anche mia moglie e i miei due bambini hanno subito con me l’ esilio.

Lì 6 giugno 2007
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Post by Shelby Sun 27 Apr 2008, 16:31

Non solo lui, ma anche tanti altri soggetti come lui, per esempio Roberto Saviano, non devono essere lasciati soli.

Penso potremmo iniziare a parlare di queste persone, di questo fenomeno, di come funziona la mafia, magari proprio noi che conosciamo qualcosa in merito a questo argomento.
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Post by Ninus Sun 27 Apr 2008, 19:27

A mio parere dire "ognuno può fare il suo nel suo piccolo" per battere la mafia equivale a dire una scemenza bella e buona. Chi rischierebbe di mettere a repentaglio la vita dei propri cari per cercare di fare la cosa giusta nel suo piccolo?
Io non ci riuscirei. Nessuno ci riesce. Se inizia una battaglia anche verbale, incitando alla rivolta, allora viene accoppato, come fu per Impastato, come fu per Falcone e Borsellino (causa la serietà delle indagini), come fu per molti altri (Pio La Torre).
Scandalo nei giornali e nei tg per un totale di 20 minuti al giorno per 5-6 giorni. Fine.

Invece la cosa che si dovrebbe fare è organizzare dei girotondi violenti ogni volta che una cosa non funziona sul lato mafia. Irrompere negli uffici, occuparli per settimane, fermare i lavori per far capire che la politica di compromesso/lassista non piace.
In Francia nel 1789 hanno preso la Bastiglia per togliersi dalle spalle l'aristocrazia ed il clero nullafacenti. Non dico che bisogna arrivare a quei livelli (cioè alla rivoluzione) ma almeno cercare di bloccare i lavori di alcuni organi.
Fare solo buona informazione non cambia nulla nella vita quotidiana quando al governo c'è un presidente del consiglio che aveva detto nel 2006 "aboliremo il reato di concorso esterno in associazione mafiosa" (per cui è stato condannato in primo grado a 9 anni di reclusione Dell'Utri) e che probabilmente non riuscirà a togliere grazie al fatto che la Lega (almeno una volta utile) è determinante sia in camera che in senato per la tenuta del governo (prima non andava tanto bene con Mastella alla giustizia).

Le persone leggono si, sentono parlare di più, del libro gomorra, dei giornali, dopodichè nota che le cose funzionano come il giorno precedente, che praticamente il sistema ben oleato non entra in crisi per via di notizie così che descriverà l'operato del giornalista (che giustamente fa il suo lavoro, necessario ma non sufficiente) come "radical chic", colui che evidenzia problemi ma che nessuno ascolta, qualificandolo quasi quasi come "u babbu du paisi".

Le persone si muovono solo se vedono che quelle prassi diventano precarie.

Insomma come diceva Alf Ross il diritto lo fanno i tribunali e non le semplici leggi inapplicate (vuoi per prescrizione vuoi per lunghezza dei processi vuoi per singoli giudici corrotti o appartenenti stabilmente ad un'associazione mafiosa).
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Post by Shelby Mon 28 Apr 2008, 14:39

Cioè per te l'agire di queste persone (di questo imprenditore o di Saviano) è totalmente inutile?
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Post by Ninus Mon 28 Apr 2008, 15:00

Cioè per te l'agire di queste persone (di questo imprenditore o di Saviano) è totalmente inutile?

Non è inutile, è necessario ma non sufficiente. Se la prassi continua il giorno dopo la denuncia TUTTI si conformeranno nuovamente alla prassi. L'effetto è quello del free riding. Se tutti lo fanno senza rischiare perchè devo dare io il mio fondoschiena? A che scopo?

Se non s'intacca la prassi e non la si mette in una posizione precaria, in bilico, non si smuove nulla. Da 50 anni si scrive di mafia, da 50 anni la mafia gestisce.
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Post by Shelby Wed 30 Apr 2008, 15:07

Sono d'accordo con il fatto che non sia sufficiente, ma queste persone vanno sostenute.

Secondo me si deve parlare di quello che ha fatto Saviano (l'industriale calabrese, Peppino Impastato, Facone, Borsellino e tutti quelli che si sono esposti), si deve sapere che ci sono persone che rinunciano a pagare il pizzo, si deve dare forza alla gente. Inoltre, parlando dal punto di vista personale, a me serve sapere che qualcuno ha dato la propria vita, direttamente o indirettamente, per lottare, a modo proprio, la mafia e l'oppressione che ne consegue.

Saviano gira con la scorta perché è stato minacciato apertamente, così come una sfilza di altre persone (tra cui altri magistrati e una giornalista del Mattino), ma del suo libro se ne parla, è stato tradotto in molte lingue, è ancora in cima alle classifiche ed ha vinto diversi premi.

Certo con questo non voglio asserire che la mafia, adesso che questa gente si è scoperta, non esiste più, ma la risoluzione di un problema così complesso, perdonatemi, non la riesco proprio a vedere, né immaginare, ancor meno oggi, in queste condizioni politiche.
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Post by Shelby Sun 04 May 2008, 20:06


"Trent’anni dopo, molto è cambiato. Ma i giornalisti che narrano i fatti di mafia rischiano ancora. E non è giusto che a difenderli siano le scorte delle forze dell’ordine. I giornalisti coraggiosi, quelli che amano ancora condurre inchieste devono avere come unica scorta il consenso della società civile. I primi a far loro da scorta devono essere gli editori, gli altri giornalisti, i lettori". Giovanni Impastato.

L’antidoto?
"Dobbiamo fare leva sulla cultura. Non dico che la repressione non sia importante. Ma il contrasto alla mafia non può essere ridotto ad un problema di ordine pubblico. Ha una dimensione culturale che va combattuta sin dalle scuole. Dal confronto fra la gente. E’ una priorità per chi ha la responsabilità di informare, formare, educare".
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Post by Shelby Sun 18 May 2008, 22:44

Da Articolo 21

L'allarmante sfida della camorra allo Stato
di Lorenzo Diana

In provincia di Caserta la camorra ha lanciato un’allarmante sfida allo Stato ed a quanti la combattono con una feroce escalation di omicidi per riaffermare la sua forza e la potestà sul suo territorio.
- Il 13 marzo scorso due capi del clan dei casalesi fanno leggere nell’aula del tribunale , durante l’udienza del processo d’appello “Spartacus”, un “proclama intimidatorio” contro lo scrittore Roberto Saviano, la giornalista Rosaria Capacchione ed il magistrato Raffaele Cantone, contro il quale pochi giorni fa la Procura antimafia di Napoli ha rivelato che la camorra casertana aveva ordinato un piano per ucciderlo.
- Il 2 maggio un gruppo di fuoco uccide Umberto Bidognetti, padre settantenne di Domenico Bidognetti, collaboratore di giustizia.
- Il 6 maggio, pochi minuti dopo che il cerimoniale del Viminale e la polizia, giunti per il sopralluogo, per l’arrivo del loro capo, lasciano Casal di Principe compaiono sui muri dello stadio e delle scuole scritte contro Roberto Saviano.
- Il 13 maggio la camorra incendia la fabbrica di materassi di Pietro Russo, imprenditore antiracket, che aveva denunciato gli estorsori del clan dei casalesi.
- Il 14 maggio nuove scritte di morte contro Roberto Saviano e Rosaria Capacchione
- Il 15 maggio la camorra attua una nuova vandalizzazione della villa confiscata a Walter Schiavone, fratello del capo “Sandokan”, sulla quale lo Stato sta realizzando un progetto di recupero per destinarla ai disabili.
- Il 16 maggio viene ucciso con 23 colpi di due pistole Domenico Noviello, imprenditore che aveva denunciato tre estorsori del clan dei casalesi.

Con l’approssimarsi della sentenza del processo “Spartacus” in corte d’appello, che potrebbe confermare le condanne all’ergastolo per i camorristi, il clan dei casalesi tenta di intimidire magistrati e chiunque la combatta o la contrasti, nonché i collaboratori di giustizia e quanti possano prendere in considerazione la strada della collaborazione. E’ in atto una vera sfida allo Stato, tesa ad affermare verso tutti che la camorra non dimentica e colpisce sempre. Una sfida plateale del clan tesa ad affermare che il territorio è suo e che agisce come e quando vuole. Una sfida quasi tesa a deridere lo Stato. Una sfida del clan lanciata apertamente addirittura alla vigilia dell’arrivo del capo della polizia, il prefetto Antonio Manganelli, che ha scelto Casal di Principe per celebrare la festa della Polizia. Nel Casertano siamo di fronte ad una sfida della camorra allo Stato che fa temere il rischio di altri atti di violenza e di altri bersagli. A fronte dei rischi che crescono nella nostra provincia serve innalzare molto la guardia da parte dello Stato, della Procura e delle forze di polizia per riaffermare la sovranità della legge anche su quel territorio. Serve un’iniziativa forte del Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, che convochi il comitato nazionale per l’ordine pubblico sul caso della provincia di Caserta. Serve una risposta ferma dello Stato, ma serve ancora più innalzare su tali problemi una guardia dei media, che è la migliore tutela per le persone esposte(magistrati,scrittori,giornalisti,imprenditori) e il più efficace strumento per stimolare una sana reazione civile ed istituzionale alla barbarie criminale. Serve la “ scorta mediatica” per quanti combattono la camorra e per rafforzare la risposta della società civile. Perciò chiedo all’associazione nazionale Articolo 21 ed alla Federazione nazionale stampa italiana di venire a Caserta per una presa di conoscenza diretta dei gravi rischi aperti in questa terra.
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